Alla fine del 1300, il popolo napoletano da mangiafoglia non avendo altro cibo più economico da mettere sotto i denti, stava passando pian piano a mangiamaccheroni, appellativo più lusinghiero.
Quasi nello stesso periodo a Napoli, attraverso gli Aragonesi che venivano a prendere possesso del regno di Napoli arrivava nelle stive delle loro navi il riso, per strade diverse quindi ma sempre proveniente dall’oriente arrivavano pasta e riso, ma mentre la prima a Napoli metteva radici eleggendola dimora ufficiale non fu così per il riso che non si fermò più di tanto a Napoli, si spostò infatti al nord dove si installò stabilmente. Lì trovò l’acqua buona si dice, necessaria per la sua crescita, ma forse la verità è un’altra. Il riso, pur essendo un alimento nutriente che dava abbastanza sazietà e relativamente poco costoso, non aveva avuto molto successo a Napoli come la pasta, si capisce anche dai nomi che gli furono attribuiti e che in parte gli sono rimasti come ‘sciacquapanza’… e ‘sciacquabudella’… A motivare questi appellativi sicuramente era anche il fatto che veniva usato come medicamento: la scuola medica salernitana lo prescriveva in bianco in tutte le malattie gastriche o intestinale (basta pensare che a Napoli in quel periodo ci trascorrevano molto tempo le epidemie, tra cui il colera). Quindi il riso Purificatore veniva associato a condizioni di salute precarie, per questo i napoletani non furono dispiaciuti che il riso anche avendo avuto la città partenopea come prima destinazione scelse di stabilirsi in Lombardia, Piemonte e Veneto, ignorando però che il riso, come tutti gli emigranti che fanno fortuna lontano dai luoghi che sono partiti, un giorno sarebbe tornato e loro stessi l’avrebbero accolto con tutti gli onori e se era partito nudo e crudo torno in abiti più ricchi e più belli.
Se gli artefici del suo arrivo a Napoli furono gli aragonesi, quelli del suo ritorno furono i francesi. Nel ‘700 erano loro che regnavano a Napoli e i nobili che abitavano nel Centro Storico e al Monte di Dio nelle Adiacenze del Palazzo Reale, per apparire chic parlavano francese e mangiavano nella stessa lingua, i loro cuochi sia quelli autentici francesi sia quelli napoletani che si erano comunque impratichiti della cucina d’Oltralpe, in francese napoletanizzato venivano chiamati ‘ Monsù ‘ dal francese ‘Monsieur’. Questi poveri cuochi si dovevano scontrare ogni giorno con i loro padroni per la loro avversione nei confronti del riso che invece in Francia andava alla grande.
Pensarono quindi di nobilitare il riso e renderlo gradevole ai palati partenopei, aggiunsero il pomodoro, altro alimento che come la pasta era stato subito apprezzato appena arrivato a Napoli, però anche se rosso, questo non poteva bastare rimaneva sempre uno sciacquapanza, e decisero di arricchirlo con piselli, polpettine, ecc , piazzando tutte queste prelibatezze in cima, a guarnizione come specchietto per le allodole, sopra a tutto in francese sur-tout da qui a sartù. I loro padroni nobili napoletani fecero da cavie a questo nuovo piatto e mostrarono di gradirlo molto così tanto come tanto avevano disdegnato il povero riso e poco per volta dalle tavole dei ricchi passò anche a quelle del popolo.