Conosco la Sardegna e parecchi anni fa la frequentavo assiduamente sia per lavoro che per turismo.
Avevo un caro amico a Cagliari, amante e conoscitore della sua favolosa terra di cui mi spiegò tante cose. Tradizioni, storia, cultura, sovente davanti ad un piatto di malloreddus, grivas allo spiedo (tordi???) ecc.
Mi spiegava che le terre ereditate dai primogeniti, le più adatte al pascolo valevano di più di quelle a volte malsane delle coste sin che non arrivò il turismo a capovolgerne i valori.
Mi spiegò il perché del nome delle grappe, in italiano fil di ferro: le bottiglie di distillato venivano nascoste, e sotterrate nella campagna, solo che per ritrovare il punto dove era sotterrata la bottiglia veniva messo un filo di ferro intorno al collo della bottiglia facendo quindi uscire il pezzo di fil di ferro dal terreno a mo’ di segnale per sfuggire ai controlli della Guardia di Finanza in quanto la distillazione era ed è clandestina.
Mi introdusse nell’atmosfera dell’amico del mio amico è mio amico. In barbagia aveva amici che ci invitarono ad assaggiare il loro pecorino, il loro magrone di montagna, la loro vernaccia.
E lì non sapevo come fuggire dall’ospitalità, non potevi non apprezzare quanto offertoti, sia per la verità, sia per cortesia, e lì rimanevi fregato, perchè si era in parecchi, per cui un altro ospite diceva: sì è tutto buono ma ora andiamo a casa mia che ho di meglio e questo pellegrinaggio durava sino all’ultimo ospite. Oltre ai tanti assaggi singolarmente contenuti, la cui somma diventava però pantagruelica, c’era poi da superare l’effetto vernaccia, che congiuntamente al fil di ferro o alla grappa aromatizzata al finocchio selvatico compromettevano un pò l’equilibrio.
Che bella terra è la Sardegna.
Innanzi tutto il mio caro amico cultore e conoscitore della sua terra, prof. Beppe Marongiu, non è più qui con noi, però vive ancora intensamente nel mio pensiero.
Che dice che la lunga, lenta, dolce cottura fatta ponendo il capretto in una buca tappezzata di rametti di mirto ed altri aromi sotto il fuoco è un’antica ricetta di pastori e nasce dal furto di bestiame.
Il pastore difficilmente mangiava la carne durante il lavoro, le pecore e le capre servivano soprattutto per la lana, il latte ed i formaggi. Chi all’epoca avesse smarrito un agnello e avesse visto altri pastori cucinare al fuoco appunto un agnello avrebbe avuto ragione di crearsi dei dubbi. Ma eccolo fregato, una bella buca, coperta da un bel fuoco e sopra il fuoco niente. Il fuoco è ancestralmente sacro per cui vai a dire, spegnilo che devo controllare cosa c’è sotto, minimo mentre ti infilavano un bel coltello di Pattada nell’addome ti avrebbero detto “conservamelo con cura”.
Sinceramente non me ne frega più di tanto se esistano o meno altre versioni, ma a me l’ha detto Beppe e per me è vangelo, vero Beppe? Il risultato comunque è a dir poco eccezionale, le madri si alzano alle 5 del mattino quando devono preparare agli amici dei figli questa delizia.
Ne so altre, ma mi piacerebbe che la fonte legittima fosse sarda, mi sembra un’usurpazione essere io “continentale” a raccontare cose e storie altrui.
Attenzione Beppe prima di lasciarci mi ha consegnato un salvacondotto per la Sardegna, potrei quasi essere targato.
Pur rimanendo incantato dalle bellezze del nord della Sardegna, per intenderci di quelle più esclusive e turistiche, a me la Sardegna piace nella sua realtà di vita. Mi piaciono la sua natura, il suo popolo, le sue tradizioni, la sua cucina, il suo orgoglio.
Cito un fatto occorsomi appunto in Sardegna.
Ci eravamo fermati vicino ad un filare di fichi d’india e, abusivamente ne avevamo raccolto qualcuno, mentre ci apprestavamo a gustarli, attenti a non riempirci di quelle microscopiche spinine, nuvola di polvere avanzante verso di noi, cavallo e cavaliere. Momento di imbarazzo, sicuramente il proprietario del terreno, sai da noi, in emilia per una pesca od un grappolo d’uva si poteva rischiare anche una schioppettata a sale. Lunghi e brevi secondi per decidere, no non facciamo i vigliacchi con la fuga, affrontiamo le nostre responsabilità, proponiamo un risarcimento ecc ecc, nel frattempo cavallo e cavaliere si erano fermati ad un metro da noi. SAPETE APRIRLI?
Sceso da cavallo, sfoderato l’immancabile coltello di Pattada, ci sbucciò una trentina di fichi scegliendo i migliori direttamente dal filare.
I nostri erano di seconda scelta.
Anche questo per me è Sardegna.