di Eleonora
© Nicola Impallomeni

Le stagioni dell’anno erano scandite da festività, e le festività solennizzate con piatti particolari, non come adesso, che si trova e si mangia tutto, in qualsiasi periodo.

A Carnevale, per esempio, era il momento del sanguinaccio, squisita crema a base di cioccolato e sangue di maiale; ormai un caro ricordo, grazie alle normative europee sull’igiene alimentare. Bisognava tenere tutti gli ingredienti pronti in casa, perché non si sapeva mai quando il sangue sarebbe arrivato, e andava cotto subito, prima che coagulasse.

A marzo non mancavano mai le zeppole di San Giuseppe, fritte e rotolate nello zucchero o nel miele; tutte le mie amiche d’infanzia le ricordano ancora.

Per Pasqua, la preparazione della pastiera prendeva diversi giorni.
 Bisognava cominciare con l’ammollo del grano, non esistevano le scatolette di grano prelessato in vendita ora nei supermercati, e per reperire l’acqua di fior d’arancio bisognava andare in una farmacia del centro.
Le scuole di pensiero erano diverse; la nonna materna aveva una ricetta che prevedeva la preparazione della crema pasticciera, mentre l’altra nonna ci metteva le uova sbattute, ma quello che è certo è che per la pasta frolla, ora come allora, ci vuole “ ‘a ‘nzogna”.
Tutti gli anni si preparavano parecchie pastiere, che venivano offerte ad amici e parenti, lontani da Napoli come noi, quale graditissimo dono.
Il menù di Pasqua prevedeva la pasta al forno, rigorosamente senza besciamella (colla da manifesti, secondo mio padre) e l’agnello al forno con piselli e patate, solo qualche volta sostituito con l’agnello in fricassea, con i piselli e le uova sbattute; ricetta che si trova quasi uguale anche in Grecia.
Troppo assorbiti da queste preparazioni, solo raramente rimaneva anche il tempo per fare il tortano, o il casatiello, decorato con le uova intere.

A giugno era il tempo del nocillo. 
Da Napoli ci arrivavano le noci, rigorosamente raccolte la notte di San Giovanni, come vuole la tradizione, e la nonna le tagliava in quarti e le metteva in grandi vasi, insieme all’alcool e alle spezie. Si toglievano dopo 40 giorni, e noi bambine potevamo avere uno spicchio di noce da succhiare, forte di alcool. Il limocino no, non l’abbiamo mai fatto, ho cominciato io qualche anno fa, ma lo faccio solo se riesco ad avere i limoni della costiera amalfitana, o di Procida.

L’estate era il momento delle conserve di pomodoro, e delle melenzane e dei peperoni sottolio, che venivano pronti per Natale.

Natale… Don Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, scrisse intorno alla metà dell’Ottocento un trattato di cucina teorico-pratica, per la prima volta nella “bella lengua nosta”. Vi si trovano fra l’altro codificati i menù tipici delle feste natalizie, che non sono poi variati tantissimo, nel tempo.
La festa più grande è sempre stata la sera della Vigilia.

Il Cenone comincia con un antipasto “di magro” che comprende sottolii e sottaceti di tutti i tipi, il baccalà in insalata, le acciughe.
Il primo è invariabilemente costituito da vermicelli a vongole. Segue il pesce bollito, il fritto di gamberi e calamari e triglie; irrinunciabile è il capitone, anch’esso fritto.
 A seguire immancabilmente l’insalata di rinforzo, fatta di cavolfiore bollito unito a sottaceti, olive e acciughe.
Per frutta il “mellone” e gli agrumi che un tempo ci arrivavano da Napoli e profumavano tutta la casa.
Poi la frutta secca, e quindi i dolci: gli struffoli, palline di pasta fritta e avvolta di miele e decorata con confettini colorati, beneauguranti, e poi paste reali, roccocò, mustacciuoli, sapienze, susamielli, raffiuoli, raffiuoli a cassata, direttamente in arrivo dai parenti napoletani.

Il giorno di Natale c’ è da stupirsi che qualcuno ancora voglia mangiare, eppure ci si siede a tavola e si ricomincia dall’antipasto, che stavolta contempla anche i salumi, e gli avanzi del capitone fritto messi “a scapece”. 
Quindi i tagliolini in brodo di cappone, il cappone lesso, le salsicce a punta di coltello con i friarielli, l’insalata di rinforzo, la frutta, le ciociole (frutta secca) e di nuovo i dolci, e stavolta non può mancare la cassata.

Ecco, vi ho raccontato la cucina di casa mia, e scusate se mi sono lasciata prendere la mano dai ricordi.
Volutamente non ho parlato di pizza, di tartalli, di sfogliatelle, perché non sono preparazioni casalinghe, quanto meno non per noi.

E adesso? Adesso vivo sola.
In perenne lotta con la bilancia, la pasta la vedo solo nelle feste comandate, NON incluse le domeniche.
 Tradita dalla fretta, cucino solo cose velocissime e molto semplici, e non ho più il tempo di aspettare che il caffè passi attraverso il filtro di una “napoletana”.

Ho rispolverato qualche ricetta solo in occasione delle gnam gnam: per fortuna che ci siete voi!