La cucina mezzadrile maremmana – parte prima
Le donne delle famiglie di poveri contadini delle maremme alte dovevano preparare desinare e cena per gruppi di uomini non solo affamati ma anche parecchio incazzati e maschilisti che non avrebbero apprezzato nella sua giusta luce, al ritorno dai campi, una giustificazione del tipo “oggi non avevo la noce moscata per fare la ricetta che avrei voluto, andiamo al ristorante”.Il fatto che la razza degli ex mezzadri si sia preservata è la riprova che mai le nostre nonne hanno pensato ad una giustificazione di questo tipo, altrimenti la catena genetica si sarebbe irrimediabilmente spezzata.
Usavano il pensiero laterale, che è un portato della filosofia di Edgard Morin e se qualcuno glielo avesse detto non l’avrebbe capito, perché Morin non era ancora nato, e la teoria della complessità non era stata neppure abbozzata.
Esse affrontavano il problema della preparazione del pranzo non secondo la sequenza che dicevamo in premessa (ricetta – mercato – piatto) ma affrontandolo in modo creativo e quindi con un nuovo approccio trasversale.
Partivano, povere donne, dalla necessità assoluta d’avere il risultato (un piatto che levasse la fame e riducesse a livello accettabile i rimproveri) poi valutavano, nella loro testa, le disponibilità dell’orto e del pollaio e quindi inventavano la ricetta secondo le culture che le erano arrivate in linea femminile e le pedate in linea maschile.
Era quindi eliminata uno degli elementi del processo cortigiano e borghese: il mercato.
Infatti i mezzadri erano “fuori target” per il mercato.
Il 50% delle produzioni, meno le ruberie del fattore, erano appena sufficienti per mantenere una sana fame nella famiglia.
Un’economia che faceva in casa anche le scarpe, il sapone, i mobili, non poteva certo comprare la roba da mangiare o, se lo faceva, lo venivano a sapere tutti nello spazio di sette poderi. E la sera a veglia …… i commenti…
Allora le nostre nonne avevano eliminato il mercato e facevano da mangiare con la coltura e la cultura e le ricette erano l’adattamento tra il disponibile ed il necessario.
D’altronde tutti s’ingegnavano per ampliare la gamma del disponibile: si coltivava un po’ di tutto, si doveva raccogliere dalla natura quanto era disponibile, ad esclusione della caccia da pelo perché cinghiali e caprioli erano tabù.
Animali da pelo quindi niente, ma quand’era tempo di funghi si partiva con il carro, ma non era un divertimento, era un lavoro. E poi le chiocciole, le anguille a mazzacchera, gli ‘sparagi, i tordi ed i merli con le tagliole dopo la raccolta delle olive.
Ancora: i solchi dell’orzo, la saggina per fare le granate e, con i suoi semi, gli schiaccini contro le infiammazioni, le fave, i fichi secchi nel coppo sempre intonchiti ed, accanto, quello dei pomodori secchi che costituivano la scelta per la merenda.
Nel pollaio un po’ di tutto, da prelevare con parsimonia, secondo cadenze decise nel consiglio delle spose, organo ufficioso ma potente che sovraintendeva a molte faccende, anche misteriose.
Poi gli “odori” ma in un’accezione larga, vero patrimonio di sapienza delle nostre nonne che conoscevano le erbe selvatiche e preparavano anche rimedi naturali per tutto, anche per l’impossibile: mazzetti contro il malocchio, soffritti per le chiocciole, battuti per i ripieni, impacchi per i geloni.
Le materie prime erano pressoché le stesse ma le proporzioni erano tutto; come dice un noto architetto americano “Dio sta nei particolari” .
La cucina del quel che c’è quindi come cucina del pensiero creativo che assume la complessità dell’ambiente e dal disordine delle disponibilità crea l’organizzazione di un piatto per poi tornare nella disorganizzazione perché quelle materie prime domani probabilmente non ci saranno più e comunque “se gli fai due giorni la stessa roba….”
La cucina mezzadrile è questo, semplice e banale ma del tutto fuori degli schemi della gastronomia ufficiale e delle ricette. E’ la cucina della miseria con l’orto ed il pollaio.
La mancanza quasi assoluta di denaro e la disponibilità di terreno, di ingegno, di cultura hanno creato quelle condizioni irripetibili in cui, nell’area mezzadrile, si è sviluppata una cucina anche ricca e complessa ed oggi del tutto moderna e creativa.
Una cucina quindi che al posto del mercato ha messo le disponibilità della natura e della terra.