Non è facile far capire a un ragazzo moderno quanto fosse profonda, un tempo, la differenza tra giochi femminili e giochi maschili, oggi che il confine è diventato così labile da non essere riconoscibile: scuole di danza, pallavolo e basket, videogiochi, smanettamenti con i telefonini, sms, ecc… Unico discrimine rimane, a tutt’oggi, il pallone per i maschi e le Barbie per le femmine.
La Barbie e i suoi cloni, miti intramontabili di bellezza, nascono negli anni ’80.
Dare un nome alle bambole è stata un’idea di marketing geniale, che ha fatto vendere milioni e milioni di esemplari. Da un certo momento in poi è accaduto che le bambine non hanno più chiesto alla mamma, alla befana o al suo succedaneo Babbo Natale, genericamente una bambola, ma hanno cominciato a chiedere la Barbie, la Tanya, il Cicciobello, il Ken….Un tempo, se ci si pensa bene, non era così e una bambola era “la bambola”, non aveva nome e tutt’al più il nome glielo dava la padrona. Come? Ma col battesimo, ovvio!
Individuata la bambola anonima e quindi la “mamma”, trovata la madrina, fissata la data, diramati gli inviti, il giorno stabilito ci si recava in rigoroso corteo in chiesa, mamma e madrina in testa.
Il papà non c’era, era un’entità astratta (figurarsi se i maschietti si abbassavano a giocare a queste cose da femminucce).
All’epoca le chiese erano sempre aperte, non c’era nè penuria di preti nè di sacrestani, perciò si entrava liberamente a qualsiasi ora. Il corteo, in pompa magna, capo rigorosamente coperto dal velo, si avvicinava all’acqua benedetta. In assenza del prete toccava alla madrina versare l’acqua sulla fronte della bambola.
A questo punto il rito era compiuto, la bambola, non più anonima, aveva le carte inregola per entrare nel Regno dei Cieli e non importa se l’anno successivo il rito si ripeteva, cià che contava era il rito in sé.
Eh già, poichè a motivare il tutto non era tanto il sentimento religioso, quanto piuttosto l’occasione per consumare le poche leccornie che di tanto in tanto si riuscivano a racimolare.
Non a caso le date preferite per il battesimo erano i giorni successivi ad un qualsiasi matrimonio, quando in casa erano disponibili dolcetti e confetti ricci, quest’ultimi spesso raccattati tra quelli lanciati alle spose all’uscita dalla chiesa e caduti per terra.
Il guaio era che i matrimoni non capitavano tutti i giorni. In tal caso si ricorreva ai fagioli al posto dei confetti, al pane al posto dei biscotti e a qualche noce.
Povero battesimo, allora!
Conoscendo il trucco, spesso frotte di ragazzine più grandi d’età, dispettose e sghignazzanti, camminavano dietro il corteo cantilenando, con la stessa nota musicale ripetuta più e più volte, la seguente filastrocca:
‘so’ fascìual e n’n so’ cumbbìàtt…
‘so’ fascìual e n’n so’ cumbbìàtt…
‘so’ fascìual e n’n so’ cumbbìàtt…
ovvero “sono fagioli e non sono confetti…!”
Orgogliosamente il corteo procedeva verso la chiesa sfidando l’ironia delle pettegole.
E’ inutile descrivere il loro lo smacco quando scoprivano che non c’erano fagioli nel cestino, ma un lauto ricevimento a base di confetti veri e talvolta anche biscotti. Guardavano le invitate con invidia e se neandavano con la coda tra le gambe, meditando la prossima rivincita!
Qui si vede il recipiente di rame in cui si preparano i confetti ricci
La famosa pasticceria che li produce tutt’ora con metodi artigianali