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CANI, GATTI E NONNI
di Enzo Raspolli

Mangiare gli animalini che ci tengono tanta compagnia? che schifo, o ancora peggio, che crudeltà, che disumanità!!!.
La pensiamo tutti così, ma non sempre ed ovunque è stata ed è una verità assoluta.
Io ricordo ancora che i nostri contadini avevano davvero un rapporto di affetto verso le loro vacche, le chiamavano con nomi affettuosi (Bianchina, Fiorella ecc.) e non erano né auto fiat né libraie.
Le assistevano quando erano malate, poi ovviamente durante i parti; le stesse cose non le facevano per i cani di casa, che erano quasi sempre legati e alimentati con pane secco bagnato.
Eppure che venissero poi mandate al macello, quelle vacche così familiari, era un dato accettato e scontato.
Ricordo ancora che una volta mia mamma cucinò, per disperazione e miseria, una coppia di tortole che tenevamo nella gabbia costruita da me e mio nonno con i pezzetti di fil di ferro e alcuni legnetti.
Per i gatti abbiamo già detto che erano comunemente mangiati, con tanto di iscrizione nel menù, nel medio evo.
Se poi guardiamo in giro per il mondo allora si scopre che per gli animalini da compagnia non va niente bene.
In Cina i cani sono proprio allevati per servire in tavola, ma non da camerieri, ma anche in altri paesi orientali la butta male.
Per esempio in tutta la Polinesia i cani sono si anche animali da compagnia, veri e propri pet, ma questo non toglie che molti di loro vengano nutriti con impasti vegetali per l’ingrasso e per dare alle carni particolari e graditi sapori.
Per anticipare una delle spiegazioni possibili rammento che in Polinesia non ci sono praterie per l’allevamento di ruminanti, non si producono granaglie per alimentare il pollame e gli animali da cacciare sono davvero pochi.
In più la cocolasia, il tubero che costituisce la maggiore fonte di proteine vegetali, fa schifo ai maiali perché contiene acido ossalico, quindi per darla a costoro la debbono cuocere.
Poi cuociono anche il maiale, ma son palle a tirarlo su!
Per cui il sor cane è uno dei pochi animali adatti a dare carne e “tira più un pelo di cane che dieci paia di buoi”.
Si, perché i polinesiani ci vogliono bene, ai cani, addirittura le donne li allattano al seno, se necessario. Usano pure il pelame e i denti per fare sculture, ma non sanno resistere al richiamo della carne. Anche per cacciare il cane, in Polinesia, serve a poco, perché gli Hawaiani e i Tahitiani non cacciano, mancandogli una cosa determinante, la selvaggina. I Maori cacciano ma soprattutto bruchi e, diciamocelo, il “cane da bruchi” fa ridere.
Ma se invece prendiamo gli Hare, una popolazione che vive sopra il circolo polare artico, vediamo un comportamento opposto.
Per 8 mesi all’anno gli Hare si spostano per cacciare caribù (come Francesca), alci, marmotte ecc. e gli spostamenti avvengono con slitte trainate da cani.
La densità canina è di tre cani a testa, quindi enorme, e comunque tale da poter calcolare che l’insieme dei cani consuma come l’insieme umano.
Oh, gli Hare non son buoni neppure di ammazzare un cane moribondo, piuttosto lo lasciano al gelo a morire ma loro non ce la fanno.
Eppure vivono di caccia, ammazzerebbero anche il fischio del treno, per dire. Ma i cani no, pagano magari qualche straniero per farlo al loro posto piuttosto che vederli patire, ma ammazzarli direttamente mai. E’ pur vero che se gli Hare si mangiassero i cani toccherebbe a loro tirarsi le slitte o morirebbero di fame.
Allora ne traiamo una regola provvisoria.
Pur nella condizione di animali da affetto, sono considerati anche commestibili quelli la cui utilità da morti è superiore a quella da vivi.
Ma allora perché non li mangiamo anche noi?
Abbiamo visto che pochi secoli fa (o pochi decenni?) mangiavamo gatti, poi, anche qui in Toscana, erano e sono considerati prelibati degli uccellini (cardellini, verdoni, pettirossi ecc.) che molti tengono nelle gabbiette.
Ma nelle nostre zone non sarebbe certo convenuto allevare onnivori o carnivori quando abbiamo a disposizione innumerevoli ruminanti, pollame e maiali per darci carne.
Insomma i cani avevano ed hanno una utilità reale, come guardie e cacciatori ed i gatti come controllori della popolazione dei ratti. Oggi ancora di più hanno una utilità non, come dire, gastronomica, ma una grande utilità affettiva.
Marvin, ed anche modestamente io, non siamo comunistacci a piede libero che considerano solo gli aspetti economici, materialistici, anzi considero (parlo per me, non vorrei prendermi troppe confidenze) gli aspetti emotivi e culturali una parte essenziale dell’uomo, anche, tra l’altro, nel rapporto con il cibo.
Quindi do un valore enorme ai bisogni affettivi che i pet soddisfano, valori che vietano ogni pensiero mangereccio, qui, nell’occidente. Ma so anche che questo bisogno di relazione con l’animale è dato anche da solitudine, o, se vogliamo dire in modo più indolore, nella vita tribale il bisogno di relazioni e di sentimenti è soddisfatto in modo alto dai rapporti umani.
Mi sono un po’ incartato in un ragionamento complicato, ma mi spiego con un esempio: tra i Maori la solitudine degli anziani non è un problema, anzi gli anziani sono considerati al centro della vita familiare e sociale.
Quindi il cane non è strettamente necessario (bisogna che chieda a Ribe quando parte il treno per Maori). Ma si arriva ora (rullo di tamburi) al pet più pet che c’è.
Il povero nonno.
Si arriva quindi ai mangiatori di uomini (e di donne, non facciamo le furbine).
Scansiamo subito quelli che hanno mangiato filetto di ragioniere per necessità impellente, tipo aereo caduto sulle ande, stazione orbitale russa ecc.
Quella non è una scelta. Parliamo di quelli che lo fanno convinti.
Ci sono due tipi di cannibalismo: quello dei parenti morti per causa naturale e quello dei nemici.
Quello dei parenti è cannibalismo di seconda scelta; quasi sempre è carne decrepita, malaticcia, fibrosa.
Da farci gli hamburger al Mac.
Ma siccome non hanno il mac, quelle tribù che mangiano il nonno o il capo per assorbirne la forza e la saggezza, lo fanno con il profilattico.
Cioè non con il profilattico di gomma, voglio dire lo fanno prendendo delle precauzioni.
Altrimenti sarebbero sparite dalla faccia della terra.
Quindi il “catafero” come direbbe Catarella, lo lasciano a riposare per lungo tempo e poi carbonizzano o solo le ossa o piccoli pezzi simbolici di carne, ma la gran cottura intanto sterilizza il tutto.
Poi le ceneri le mescolano a bevande o cibi, ma sono mescolanze solo simboliche, rituali. Non fanno ingrassare.
Invece il cannibalismo guerresco si giova di carni di prima scelta. Chi va alla guerra è sano, ben muscoloso, insomma un bel bocconcino.
Ora i resoconti di episodi di cannibalismo guerresco ci pervengono da occidentali conquistatori che avevano interesse a parlar male delle tribù di cui volevano conquistare i territori e quindi si presume che questo cannibalismo sia stato “gonfiato dalla stampa” ma comunque certamente è esistito.
In questo caso però non è prioritaria, nella azione umana, l’uccisione del nemico per procurarsi cibo.
Secondo la teoria ottimale del foraggiamento andar “per uomini” è una scemata colossale. L’uomo è una bestiaccia e puoi fare la fine di Piero, cioè uccidere ed essere ucciso.
Conviene andar per tapiri, bacherozzoli, o qualsiasi altra preda.
Ma in questo caso non andavano in guerra per mangiare, ma per conquistare territori o per altre ragioni a noi sconosciute (come nella guerra iraniana).
I morti nemici erano il prodotto della guerra, non lo scopo.
Ma già che c’erano allora conveniva portarli a casa, anche sotto forma di prigionieri che almeno camminano da sé, e poi con comodo fare un bel banchetto insieme agli alleati.
Ora però c’è da dire che questa usanza è rimasta confinata a tribù dell’amazzonia, della Guinea o dell’Australia, prima che arrivasse Ribe, e sono legate non a guerre strategiche ma ad incursioni di drappelli, scontri brevi ma di bande.
Si può dire che siamo più civili, noi che abbiamo inventato la bomba atomica?
Nel mondo antico, sia pure primordiale, non abbiamo testimonianze di cannibalismo guerriero. I tabù religiosi contro l’uso di carne umana sono stati potenti in tutte le maggiori culture.
E poi nelle guerre importanti la resa del nemico è una componente strategica determinante. Se il nemico sa che hai messo la pentola al fuoco col cacchio che si arrende.
Invece i Romani per esempio dopo la sconfitta degli eserciti nemici istauravano la pax romana, che non era da buttare.
In tutte le guerre “occidentali” quindi la resa del nemico era uno strumento di governo ben più redditizio della carne che potevano rendere i nemici.
Semmai si prendeva, ai nemici, tutto quello che avevano e magari si uccidevano.
Mai però si mangiavano.
Avete sentito di qualche iraniano mangiato?
Siamo civili, per la miseria!.




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