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LA CUCINA NAPOLETANA di MariaLetizia
Cominciamo con un poco di storia, spero di non annoiarvi.
La nostra cucina si rifà alle origini greche e a quelle romane, nonché alle ricette del famoso gastronomo Apicio Gavio del II secolo a. C.
Con gli Angioini i menù diventarono profumati per l'aggiunta del basilico e prezzemolo importati dalla Francia.
Con gli aragonesi i pranzi erano luculliani, con carne grassa, pesce, frittura. Tra i ricchi era frequente l'infarto dopo banchetti e libagioni.
Essendo un popolo che ha subito varie dominazioni ed essendo stata Napoli capitale del Regno delle due Sicilie, la nostra cucina ha subito nei secoli varie contaminazioni e nello stesso tempo si è formata nelle corti nobili, quindi o è una cucina molto ricca o molto povera.
La nostra cucina diventò importante con Vincenzo Corrado, che compose un trattato sull'arte culinaria, vero manuale della cucina teorico-pratica.
Diversamente le condizioni popolari furono lontane dai particolari menù dei ricchi, e si basarono esclusivamente su farinacei, patate, fagioli, ed anche verdure e pesce.
Napoli è stata sempre fornita di posti di "ristoro" dalle "tabernae" greco-romane, alle cantine del medio evo, alle trattorie del 1700.
Si arricchisce di rinomati ristoranti ivi compreso quello della "Zì Teresa" al Borgo Marinaro.
Quest'ultimo è stato certamente il ristorante più celebre di Napoli. "Zì Teresa" è Teresa Fusco che nasce nel 1860 da una famiglia di "luciani" (abitanti del quartiere Santa Lucia, da cui il famoso “polipo alla luciana”). Inizia la sua attività come venditrice di taralli sul bagnasciuga di S. Lucia, poi prepara con la sua bancarella pesce fritto e "’o ddoje c'a salsa", ovvero piccolo piatto di vermicelli da mangiare in piedi e rapidamente.
La Fusco, baciata dalla fortuna, apre una trattoria che ben presto diventa un ristorante affollato da turisti, nomi famosi e miliardari. Nel suo locale ammaliatore, i posteggiatori lanciano le più famose canzoni che faranno poi il giro del mondo.
"Zì Teresa" muore nel 1953 e la sua scomparsa coincide con la fine dell'epoca d'oro della canzone napoletana.
Chi siede ad una tavola napoletana non si aspetti di cominciare con un leggero antipasto.
La fantasia dei napoletani si scatena con gli antipasti, che a volte diventano il piatto forte del pranzo, allora la tavola sarà sommersa di piattini pieni di assaggi variopinti che è una festa per gli occhi: Boccocini di mozzarella di bufala di Aversa, fettine di salame piccante, olive farcite di peperoncino, carciofini sott’olio, bruschette con i pomodorini del vesuvio, frittelle di alghe, pastecresciute, cicenielle in pastetta, crocchè di patate, palle di riso, zucchine e melanzane a scapece, melanzane indorate e fritte, il tutto in quantità minima, giusto per stuzzicare l’appetito ed “aprire lo stomaco”.
Dopo l’antipasto bisogna vedere se si va con i primi di pesce o di carne e allora o vermicelli con le vongole o spaghetti con le cozze o linguine ai frutti di mare (il risotto alla pescatora è “moderno”).
I frutti di mare vanno cucinati sempre in aglio e olio, con qualche pomodorino (i pescatori dicono “…’e pummarulelle una e ddoje…’a terza avite jettà tutte cose” traduzione: solo uno o due pomodorini, se ne mettete un terzo, è meglio buttare via tutto).
La cipolla a Napoli deve stare lontana dal pesce.
Se si va di carne allora è ragù, e qui bisognerebbe aprire un topic a parte.
Per il momento diciamo che il ragù o è di carne di vitello, o di maiale (salsicce o/e tracchiulelle) o di entrambi; si possono aggiungere anche le braciole, (fettine di vitello o di Maiale, ripiene di aglio, sale pepe, pezzetti di pecorino (romano), uva passa, pinoli e prezzemolo, arrotolate a involtino e fermate con un paio di stecchini. Con lo stesso ripieno si può preparare un “braciolone”, usando la pettola di spalla oppure una grossa cotica di maiale. Col ragu si condiscono gli ziti spezzati, gli gnocchi, i paccheri (aggiungendo della ricotta stemperata in un po’ di ragù) o si usa per condire la pasta al forno e le lasagne di carnevale.
Gli ziti si condiscono anche con la “genovese”, sugo di carne con tantissime cipolle,almeno un paio di chili, che si consumano insieme alla carne diventando una crema marroncina profumatissima…
I napoletani non amano molto il riso, il risotto è una scoperta recente, ma non lo sappiamo fare bene e non capiamo bene la differenza tra le varie qualità di riso, ma quando facciamo il Sartù, allora è tutta un’altra cosa, allora il riso, condito con una buona salsa di pomodoro, viene sistemato in un “ruoto”, farcito di polpettine, di salsiccine sminuzzate, mozzarella o provola, pisellini, fegatini di pollo, tanto parmigiano e cotto in forno.
Poi dovremmo parlare della minestra maritata ,matrimonio riuscito di verdure e carne di maiale, il tutto in brodo di gallina, inventata probabilmente dai poveri che combattevano il freddo nutrendosi di erba e avanzi di carne. La zuppa di soffritto, un intingolo di coratella di maiale, polmone, fegato, cuore, milza esofago, trachea e altre frattaglie, tagliate a pezzettini minuscoli e cotti in salsa di pomodoro e conserva di peperoni piccantissimi che serve a condire vermicelli o fette di pane tostato, non è un piatto per stomaci deboli.
E questi sono solo alcuni tra i primi piatti della cucina napoletana. Per le ricette (ma come si fa a scriverle tutte?) ditemi quelle che volete, ma nel libro “La Cucina Napoletana” di Jeanne Carola Francesconi si trovano tutte le ricette della tradizione e della storia culinaria napoletana, e sono tutte ricette “vere”.
Ora vi parlo dei primi di “tutti i giorni” ed in particolare delle minestre che minestre non sono, perché da noi si usa farle “azzeccate” cioè non brodose, ma cremose, quasi asciutte. E allora la pasta e patate ,che nella versione più antica è insaporita col “mascariello”, la mandibola del maiale; la pasta e fagioli con le cotiche, pasta e zucca, pasta e cavolfiore, riso e verza sono tutti piatti in cui la pasta viene calata direttamente nella pentola dove hanno cotto le verdure, che si spappolano mentre cuoce la pasta, giusto quel tanto da creare una crema, ma si spegne la fiamma quando la pasta (mista, per carità) è ancora un po’ al dente; raggiungerà la cottura mentre s’apposa (si riposa) per qualche minuto prima di arrivare in tavola.
Cosa dire poi di quei piatti della cucina napoletana che non si può dire se siano primi, secondi, spuntini o contorni? Parlo della parmigiana di melanzane, che condividiamo con la Sicilia, ma anche della pizza di scarola, dei peperoni imbottiti, della pizza rustica con ricotta e salame, de casatiello (la ricetta, per Enzuccia, è già nella sezione delle ricette), della zuppa di cozze, della caponata col polipo, la mozzarella in carrozza, la frittata di maccheroni la pizza con salsicce e frierielli….basta, ora vi do qualche ricetta
LA PASTA E PATATE
Preparate un battuto con cipolla, carota e ina piccola costa di sedano, e fate rosolare in olio con un pezzetto si peperoncino, se vi piace piccante, e un po’ di lardo o pancetta tagliati a cubetti ,se vi piace un sapore”robusto”, (io non ce lo metto). Quando tutto è ben rosolato metteteci dentro un cucchiaino di concentrato di pomodoro e fatelo sciogliere nell’olio, mescolando. Quando il concentrato s’è leggermente imbrunito, aggiungete 3 o 4 patate tagliate a cubetti, fatele insaporire nell’intingolo, coprite d’acqua, aggiungete sale, pepe e una crosta di parmigiano. Lasciate cuocere fino a che le patate siano cotte, ma non sfarinate; a questo punto aggiungete un altro po’ d’acqua, riportate all’ebollizione e buttate nella pentola la pasta. Potete usare la pasta mista o dei tubetti un po’ grandetti (io preferisco i tubetti). Regolate di sale e portate la pasta quasi a cottura, mantenendo la fiamma bassa, mescolando spesso. E’ probabile che dovrete aggiungere un po’ d’acqua di tanto in tanto, ma aggiungetela a piccole dosi, tipo mezzo bicchiere alla volta. Si deve spegnere il fuoco quando la pasta è bella al dente, ma leggermente brodosa, in modo che lasciata a riposare per 5-6 minuti finisca di cuocere e si addensi un po’. Aggiungete, prima di portarle in tavola, un pochino di prezzemolo e basilico ed un bel po’ di parmigiano o pecorino. Non buttate via la crosta del parmigiano, che cuocendo diventerà morbidissima e di solito viene contesa dai commensali.
I PEPERONI IMBOTTITI
Si prendono dei bei peperoni carnosi, non troppo grandi, calcolate che ogni peperone è una porzione. Si arrostiscono e si spellano delicatamente senza romperli assolutamente. Si toglie il torsolo e i semini interni e si asciugano bene. Si riempiono di melanzane fritte a cubetti e insaporite in padella con qualche pomodorino, olive nere, qualche cappero e basilico. Si aggiunge pure qualche pezzetto di mozzarella all’interno e poi si sistemano in una teglia unta, si cospargono con un filo d’olio e si infornano per un’oretta. Si mangiano tiepidi.
Si possono anche riempire di vermicelli conditi con un sughetto fatto con pomodorini, aglio, olio, olive e capperi, una specie di puttanesca veloce.
LA PIZZA RUSTICA
La caratteristica di questo rustico è quello di avere la pasta dolce e il ripieno salato. Si fodera una teglia di pasta frolla, aromatizzata non con la vaniglia, ma con la scorza di limone grattugiata; la ricetta classica prevede che si usi la sugna, ma io la faccio col burro o con la margarina in panetti. Si prepara il ripieno con ricotta sale pepe e qualche uovo (tipo 3 uova per 500g di ricotta), si lavora bene con una forchetta per rendere tutto cremoso, poi si aggiunge del salame napoletano tagliato a cubetti e del provolone semipiccante, sempre a cubetti. Si riempie il guscio di pasta frolla con la ricotta (regolatevi con le quantità in modo cge il ripieno sia almeno di due dita) e si copre il tutto con altra pasta frolla. Con i ritagli di pasta si fa qualche decorazione, si lucida con l’uovo sbattuto,si bucherella qua e là per far uscire il vapore e di inforna a180 per almeno 45’, finché la superficie sarà bella dorata. Si mangia assolutamente fredda, tagliata a cubetti, come spuntino, antipasto o con l’aperitivo.
Io la minestra maritata non l’ho fatta mai, ma vi do la versione, sacrosanta di AnnaAmalia, che è già comparsa nel forum.
MINESTRA MARITATA DI ANNAMALIA
Con molto tempo e tanta pazienza potrete realizzare un vecchio vanto della cucina napoletana, e campana in genere: questa minestra in cui carne e verdure si “maritano”. Oggi è un po’ in disuso per il numero e la scelta degli ingredienti necessari, che ormai non fanno quasi più parte della nostra cucina quotidiana. Per chi pensa di poterseli procurare, ecco comunque la ricetta: Lessate in abbondante acqua un osso di prosciutto, un salamino di circa 200 g, 300 g di costolette di maiale, tre salsicce, qualche cotica , 500 g. di carne di maiale e un pezzo (5-600 g) di carne di manzo. Unite anche 2 cipolle, 1 carota gialla, due coste di sedano e lasciate cuocere per un paio d’ore. Scolate quindi tutta la carne e tagliatela a pezzi. Nello stesso brodo di cottura delle carni lessate 2 kg di verdure assortite, precedentemente lavate, tra cui la cicoria, la cappuccina, i broccoli e i broccoletti. Quando le verdure saranno cotte, unite anche la carne al brodo, se desiderate mangiare tutto insieme, altrimenti servite la minestra di verdure con dei crostini di pane casereccio abbrustoliti e la carne a parte, come secondo piatto.
Un piccolo consiglio: perché il piatto sia più leggero, bollire da solo l’osso di prosciutto per qualche minuto, buttare l’acqua di cottura, e poi cucinare il tutto come prevede la ricetta.