A questo punto, mentre la Bruna si concede una pausa strapazzandosi un po' Enrico che vede così di rado, entro in azione io, la nuora bizzarra che ha sconvolto con la sua solarità mediterranea il ritmo "padano" degli eventi di casa Lucchetti. Apro la dispensa, che in giugno avevo stipato di chili di farine di ogni tipo, per darmi alle sperimentazioni vacanziere sul bel tavolo di marmo di mia suocera. Non vedevo davvero l'ora...! Faccio la fontana con un etto di farina bianca e uno di farina di riso, aggiungo un cucchiaino di sale, anzi, no, un bel pizzicone, ché il cucchiaino è ancora sporco di caffè. Apro il frigorifero, trovo il burro della fattoria della signora Claudia, che fa anche le formaggette. Direttamente con le mani ne faccio a pezzi grossi un etto circa, sarà poco meno di metà panetto, abbondiamo pure tanto è ottimo davvero, anche solo spalmato sul pane con un po' di zucchero la mattina. Farò una brisée. Lo lavoro velocemente con la punta della dita, chiedo a mio marito che si è appena alzato di darmi una tazza d'acqua gelata e un uovo, di quelli nostrani della vicina di casa, io ho le mani appiccicose. La fontana, ora, è fatta da grumi grossolani, e sembra un vulcano bianco in eruzione. Rido da sola. Per farne una pasta aggiungo il tuorlo e pochissima acqua, e modello come una palla, in poche mosse. Avvolgo nella pellicola, lascio riposare in frigo per un'ora. Nel frattempo... mi lavo ed esco a prendere una boccata d'aria in giardino. Torno in casa, colta qualche fogliolina dell'ultima mentuccia di stagione che infesta il campo di mio suocero, tolgo la palla dal frigo. Mi riapproprio del tavolo, infarino il matterello e il piano, stendo la pasta. Ne faccio uno strato sottile e cerco di appoggiarla su una teglia di alluminio, debordando un poco (mia suocera più che una dispensa ha un arsenale, e non manca di certo ogni strumento utile in cucina: se scoppiasse una guerra, Dio non voglia, lì avremmo di che vivere per un anno almeno in autarchia). Ne rimane un bel po'. Nel frattempo faccio rosolare in una noce di burro i durelli di pollo (la metà li ha pretesi il gatto della vicina che ronza sempre da queste parti), innaffio col vino bianco senza farmi notare da mio suocero, salo un poco. In una terrina lavoro a crema metà della formaggetta che mia suocera ha comperato nella fattoria della signora di cui sopra, una bella calabrese che continua l'antica arte locale del formaggio, avendo sposato un uomo del posto. La formaggetta, o robiola del consorzio di Roccaverano, non manca mai nella dispensa di mia suocera, sarebbe un autentico delitto. Nella vostra, può essere... Sorvoliamo. La mescolo con due tuorli e cinque cucchiai di latte, profumo con il pepe e la menta che ho raccolto nel campo. Aggiungo i durelli. Riempio con questa crema la torta salata, livello bene e modello i bordi ripiegandoli sul ripieno. Decoro con la pasta rimasta. Inforno a 220 °, per mezz'ora almeno, poi abbasso e termino la cottura. Intanto, il borbottio ci accompagna sempre, dall'altra stanza.
Viene l'ora di pranzo. Enrico mangia ormai con noi, e come noi, sul suo seggiolone che ci segue in tutte le nostre avventure. Così si possono buttare i sedanini, che sono davvero perfetti allo scopo, direttamente nel brodo dei fagioli. E' mezzogiorno meno un quarto, in campagna si mangia presto. Mentre la pasta cuoce, noi celebriamo il rito dell'antipasto di porcini. Poi il brindisi, e il via alle danze. E' tutto davvero ottimo, e la famiglia è riunita come nelle occasioni importanti.
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