la cerimonia del carpaccio di porcini. Tenendo presente che i porcini o anverioi di Ponzone - che come suggerisce il nome sorge su uno dei cocuzzoli che allontanano l'Acquese dal mare - sono la fine del mondo, e che dopo queste benedette piogge domani se ne troveranno anche di appena nati, piccini piccini e profumatissimi, mia suocera uscirà di sicuro di prima mattina a cercarli. Lei va tutte le volte che può per fonz, è la sua passione, ed è stata l'attività prima di sua madre, sette figli da sfamare avuti l'uno dietro l'altro, e portati con sé per boschi per forza di cose. Anche la Bruna, l'ultima figlia, ha imparato così; oggi ha trasmesso il suo sapere di esperta fonzera al marito ed ai figli, ed ora lo sta insegnando anche a me. Se domani riuscirà a trovarne molti, i più delicati li consumeremo subito, per festeggiare un evento importante in famiglia, mentre gli altri li metteremo "sut ore" noi due insieme nel pomeriggio, in vista del Natale, raccontandoci allegramente le ultime storie del paese.
Il compito più delicato lo riserviamo al capofamiglia, mio suocero Enrico, dal quale il nome del mio bambino. E' un'antica usanza locale, una cerimonia a cui assistiamo tutti insieme, intorno al tavolo della cucina - la vecchia cucina della casa di campagna, oggi ristrutturata, che vide ben tre generazioni sedersi al desco avito. La casa di fronte, per la verità, è ancora più vecchia: vide persino il trisavolo, anzi fu costruita proprio da lui. In paese qualche anziano ricorda di averlo conosciuto già avanti con gli anni, e sostiene somigliasse in maniera impressionante al mio bambino. Ma torniamo ai fonz. Il nonno maneggia i porcinelli, nel silenzio totale che lo avvolge, con estrema delicatezza, ripulendoli delicatamente dei residui di terra con una pezzuolina. Poi impugna il piccolo coltello tascabile, che usa anche per staccare il porcino dal terreno senza danneggiarne il gambo, e prende ad affettarlo sottilmente, con movimenti lenti e precisi, per il senso dell'altezza. Dispone una alla volta le sezioni di fungo sul piatto più bello che la moglie Bruna gli trova, componendo una delicata armonia di tinte di bosco. Dà un giro di olio buono, quello ligure perché lui è di Genova, e sa che il suo olio va risparmiato per i momenti più importanti. Un pizzico di sale, una macinata di pepe. Poco. Poi porta il piatto al centro del tavolo, stappa la Barbera migliore che ha in cantina, mesce il vino nei bicchieri di vetro grosso, partendo da sua moglie, la matriarca. Per seconda vengo io, poi a seguire i figli maschi in ordine di età, e per ultima un'ombra di vino sulla fronte del mio piccino, una carezza che è anche una benedizione silenziosa. Ecco, ora finalmente si può brindare. E il silenzio si rompe, come per incanto, in un fragore di risa e di auguri.
|